#Jesuischarlie: la satira piace. Se non parla di noi

Scopri le varie dinamiche dietro al #Jesuischarlie

je suis charlie - anche no

A ragionevole distanza dal giorno in cui si sono consumati i fatti, si può provare a tirare le somme sull’ultimo caso, internazionale, dello scontro di ‘opinioni’ tra il periodico satirico Charlie Hebdo e il popolo italiano. Facile, facilissimo dire ovvietà, amenità, cadere nella retorica più bieca. D’altra parte, chi lavora nel mondo della digital Pr, e la nostra agenzia di comunicazione a Milano di questo vive, dovrebbe sentire in un certo modo il peso di una presa di posizione, che non sta obbligatoriamente nel prendere le parti dell’uno o degli altri. Semmai, ciò che è mancato nella gestione del conflitto, è stato proprio un approccio votato all’ascolto, è mancata la meta-comunicazione, è mancato il desiderio di assorbire un punto di vista che strideva col comune e sacrosanto senso dell’indignazione.

Che vuol dire “Je suis Charlie?”

Sono passati quasi due anni, ormai, da quel 7 gennaio 2015, data dell’attentato alla sede di Charlie Hebdo. Furono messaggi di solidarietà e rabbia a prendersi la scena, allora. Fu la giornata mondiale della lotta al diritto di espressione, qualunque forma assumesse. Furono ore spese a rivendicare il diritto della satira a essere tale; fu la difesa a tutto tondo della visione occidentale di vedere le cose, che ha fatto della facoltà di pensiero libero la massima elevazione dello spirito contemporaneo. Tutti fummo Charlie, in quelle ore. Pochi, pochissimi hanno davvero compreso il peso delle loro manifestazioni. Perché essere Charlie, in quel 7 gennaio 2015 come oggi, non significava (e non significa) sentirsi parte lesa, vittima di un carnefice delirante e senza volto. Essere Charlie, se solo ci fossimo sforzati di assegnare un valore al nostro pensiero, è un’assunzione di responsabilità, è abbracciare un modo di stare al mondo, accettarlo, comprenderlo e farlo proprio, o anche no, ma senza condannarlo come meschino.

Le vignette sul tragico sisma del 24 agosto scorso non hanno nulla di diverso da tutte quelle che, negli anni, Charlie Hebdo ha rese noto su tutti i suoi canali. Non c’è stato un cambio di registro allora, non c’è stato stavolta, non ci sarà alla prossima polemica, che prima o poi arriverà. Pochi, pochissimi hanno compreso il peso della loro solidarietà; la satira è lecita quando colpisce un nemico comune, è malvagia e deprecabile se spara sulla nostra identità e lascia una scia di rabbia e disgusto a pochi metri dalle nostre gambe. Ma che cos’è la satira? Quando è stato decretato che essa non debba essere di cattivo gusto? O non debba disgustare? Se solo ci fossimo assunti l’onere di spendere qualche secondo in più sulla vignetta, senza urlare il nostro rigetto, magari avremmo potuto comprendere qualcosa in più persino noi. Magari il dibattito si sarebbe spostato su un sistema edile, quello nostrano, che fa acqua, sulla reale e comprovata partecipazione mafiosa nei bandi statali di ogni genere, su tutti i pasticci – come ha scritto Charlie Hebdo – “all’italiana”, che da decenni ci imprigionano in un modus operandi votato al pressappochismo, allo sperpero, alla corruzione. Magari.

Gli errori di Charlie Hebdo

D’altra parte, i francesi se lo sarebbero potuto aspettare. E non perché l’italiano è bigotto o incline all’indignazione pubblica. L’italiano non è né più né meno del francese o di chiunque altro, in fondo. Charlie Hebdo se lo sarebbe potuto aspettare perché autore di un contenuto in cui l’elemento della provocazione straborda, ammantando il messaggio in sé e tutte le sue implicazioni. Perché un colpo così violento non avrebbe potuto fare altro che spostare il focus della riflessione; l’epilogo era forse già scritto, chissà che la seconda vignetta, quella pubblicata per difendere il proprio operato ed esplicare la prima, non fosse già stata predisposta. L’errore, se l’errore c’è, è forse di natura comunicativa più che etica. Ad ogni modo, ogni riflessione si perde nella dimenticanza, perché la prossima volta le cose andranno nella stessa identica maniera, perché la storia ci insegna che non ci insegna nulla. #Jesuisdésolée.

Scopri tutti i nostri servizi per Comunicazione!

LA NEWSLETTER DI MEDIATICA

Rimani sempre aggiornato sul mondo di mediatica