5 tecniche di engagement per mantenere l’attenzione del pubblico dal primo all’ultimo minuto

Catturare l’attenzione durante un evento, nelle sue fasi iniziali, è facile. Per i primi trenta secondi. Poi iniziano i problemi. Il pubblico si sistema, guarda il palco, controlla il telefono, si guarda intorno. Se in quel momento non succede nulla di coinvolgente, qualcosa si spezza. La connessione. Quella sottile, invisibile, indispensabile. Perché l’attenzione non è mai garantita. Va guadagnata. E va mantenuta, minuto dopo minuto. Che si tratti di una conferenza, di un evento aziendale, di un workshop formativo o di una presentazione istituzionale, il rischio è sempre lo stesso: perdere il pubblico mentre si sta ancora parlando. Non esiste una scorciatoia per la relazione autentica. E no, non si tratta solo di essere brillanti, divertenti o pieni di carisma. L’engagement, quello vero, si costruisce su più livelli.
Ma esistono strategie e tecniche di engagement precise che permettono a chi parla di costruire un’esperienza che tenga viva l’attenzione. Che faccia battere le ciglia un po’ più piano, trattenere il respiro, sorridere senza accorgersene. Una capacità invisibile, che si muove tra parole, pause, sguardi, cambi di ritmo. Vediamo di che si tratta. 

Quando il pubblico si riconosce, ascolta davvero

Il coinvolgimento inizia nel momento in cui qualcuno, tra il pubblico, smette di guardare e inizia a sentirsi guardato. Non nel senso fisico, ma emotivo. E presentiamo così una delle tecniche di engagement più potenti: far scattare qualcosa dentro. E quel qualcosa, spesso, è un riflesso. Una risonanza. L’improvvisa sensazione che ciò che sta avvenendo sul palco parli, in qualche modo, anche di me. Stiamo parlando del coinvolgimento emotivo, delle emozioni, ovvero la possibilità di saper toccare corde universali e capaci di costruire un rapporto che non sia semplicemente frontale, ma umano. Chi parla a un pubblico non è mai solo un esperto, un referente, un relatore. È anche un tramite. E se riesce a trasmettere emozione, allora sta facendo qualcosa di più: sta lasciando una traccia. Quando durante ad un evento si passa dal “cosa facciamo” al raccontare “perché lo facciamo” cambia radicalmente la prospettiva. Quello che un pubblico vuole è l’autenticità, sentirsi coinvolto emotivamente e vedere anche sé stesso, anche solo per un frammento, nella persona che sta parlando. E quando questo avviene, l’attenzione non ha bisogno di essere trattenuta. Resta lì. Perché ci si sente accolti. Quello che si sta narrando non riguarda “solo l’azienda”, riguarda tutti. Tocca un pezzetto di tutti noi.

Il secondo strumento, strettamente connesso al primo, è quindi la narrazione. Una narrazione efficace non è solo una cronaca. È una struttura. Una traiettoria. Una progressione che genera attesa, tensione, rilascio. Che alterna momenti di intensità e pause. Il potere narrativo è tale da cambiare la percezione del tempo. Una presentazione lineare, senza altezze né profondità, scorre lentamente e non pone al centro del percorso quel ritmo che aiuta a tenere viva l’attenzione per un’ora persino senza che nessuno se ne accorga. Un elemento narrativo seduce e il pubblico si sente dentro qualcosa. Sta seguendo un percorso. Vuole sapere come va a finire.

Il pubblico va accompagnato e ogni svolta narrativa deve arrivare quando il pubblico è pronto a riceverla. Spesso si sottovaluta la forza di un semplice aneddoto, un episodio particolare, magari anche personale. Attenzione, non è una  scorciatoia emotiva, ma uno sfondo emotivo che rompe lo schema, dona per l’appunto un ritmo, riattiva l’ascolto. In questo senso, le tecniche di engagement non sono strategie “contro” la distrazione, sono strumenti per creare continuità emotiva. Per non perdere il filo. Per generare senso.
Ovviamente la dinamicità di un evento dipende anche da altri fattori e intendiamo, ad esempio, il numero dei relatori che prenderanno la parola, l’alternanza dei formati, la regia dell’evento stesso che detta i tempi. Ecco perché emozione e narrazione sono due delle tecniche di engagement più potenti. Perché si offrono ad un pubblico che nell’evento si riconosce, si orienta, si fida. E, soprattutto, resta.

Il vero engagement è una forma di rispetto

Alla fine, la domanda è sempre la stessa: ci hanno ascoltati davvero? Non nel senso di sentire, ma nel senso profondo del verbo ascoltare. Quello che implica attenzione, presenza, coinvolgimento. Le tecniche di engagement non sono strumenti di intrattenimento, né scorciatoie per ottenere consensi. Sono, prima di tutto, gesti di cura. Modi per prendersi la responsabilità dell’altro. Offrirgli qualcosa che meriti davvero quell’attenzione è, in fondo, una forma di rispetto. Forse la più alta. Coinvolgere non vuol dire manipolare, vuol dire invitare e accogliere. Vuol dire costruire un discorso che non viva solo per chi lo pronuncia, ma anche, e soprattutto, per chi lo riceve. Vuol dire pensare al pubblico come qualcuno con cui si può entrare in dialogo, anche senza parole. E lasciare qualcosa che dura oltre la chiusura del sipario.

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