Outsourcing vs. gestione interna degli eventi
Cosa succede quando una azienda decide di organizzare un evento? Organizzare un evento, sì… ma come? Coinvolgere un’agenzia esterna o affidarsi al proprio team interno? Domanda apparentemente semplice, e niente affatto secondaria. Dietro risiedono un mondo di implicazioni strategiche, logistiche ed emotive. La scelta, infatti, non riguarda soltanto un budget o una preferenza operativa. Riguarda la visione dell’azienda, la fiducia nelle proprie risorse, il grado di controllo che si desidera mantenere e, non da ultimo, la capacità di trasformare una semplice occasione in un’esperienza che valga la pena di essere ricordata. In molti casi, l’idea di “fare tutto in casa” appare come un gesto di coerenza, di identità, eppure, proprio qui si annida una trappola. Proviamo allora a guardare in faccia le due alternative, senza pregiudizi né automatismi.
Affidarsi all’esterno non è sempre una resa
Esternalizzare la gestione di un evento, non è una debolezza. O, almeno, non dovrebbe. La delega, se consapevole, è sempre un atto di lucidità, un riconoscimento delle proprie competenze, ma anche dei propri limiti. In fondo, nessuno pretenderebbe di progettare internamente l’impianto elettrico della propria sede o di produrre in casa il software di gestione dei clienti. Perché allora l’organizzazione di un evento dovrebbe seguire una logica diversa?
L’esperienza è il primo evidente vantaggio dell’outsourcing, perché un’agenzia specializzata nell’organizzazione di eventi ha già vissuto decine, forse centinaia di eventi. Possibilmente la stessa agenzia ha anche una rete di contatti consolidata e conosce i fornitori su cui si può contare anche quando tutto sembra andare storto. Questo bagaglio, difficilmente replicabile all’interno, non è solo un valore aggiunto. Non meno importante è la visione esterna. Spesso, chi lavora da anni all’interno di un’azienda finisce per sviluppare una sorta di miopia affettiva. Vede solo ciò che conosce. Ragiona in base ai soliti format, alle solite persone, alle solite scelte. Non è invece così quando a guardare l’azienda è un consulente esterno.
C’è poi il nodo tempo e organizzare un evento, anche di medie dimensioni, è un lavoro a tempo pieno. Richiede settimane di preparazione, riunioni, sopralluoghi, contratti, piani B. È realistico pensare che un team interno già oberato dalle attività quotidiane possa occuparsene senza compromettere la qualità di tutto il resto? In molti casi no. E allora esternalizzare diventa anche un modo per preservare l’equilibrio dell’azienda, evitando sovraccarichi, tensioni e improvvisazioni pericolose. Lasciare che qualcun altro metta le mani su ciò che dovrebbe rappresentare l’identità del brand è però, per molte imprese, un passo difficile da compiere.
Eppure, se la scelta del partner è ponderata, se la comunicazione è trasparente, se gli obiettivi sono chiari, l’esperienza dell’outsourcing può trasformarsi in una forma di co-creazione. Non più esterni contro interni, ma mondi che si incontrano, ciascuno portando il meglio di sé. I rischi, naturalmente, esistono. Non mancano i casi in cui la scelta dell’agenzia si rivela infelice. Per superficialità, per incompatibilità culturale, per promesse non mantenute. Il rischio maggiore, in questi casi, è la standardizzazione. Il “copia e incolla” da eventi precedenti. La proposta stanca, già vista, che magari ha funzionato altrove ma che poco si adatta all’identità del cliente. È qui che la supervisione interna torna ad avere un ruolo decisivo. Perché delegare non vuol dire sparire. Un’azienda attenta non si limita a firmare un contratto e attendere il giorno dell’evento. Partecipa. Controlla. Suggerisce. Non si sostituisce, ma nemmeno abdica.
D’altra parte, bisogna anche saper lasciare spazio. Se si ingaggia un’agenzia professionista, è bene non soffocarla. Inoltre osservare da vicino come lavora un’agenzia, come si gestisce un imprevisto, come si affrontano i fornitori o si pianificano le tempistiche, è una lezione preziosa. Un investimento nel capitale umano dell’azienda, che acquisisce competenze e consapevolezze utili per il futuro.
Quando far tutto in casa sembra la scelta più giusta
Certe volte, l’istinto suggerisce di non cedere il timone. Non per diffidenza. Non per risparmio. Ma perché c’è la sensazione, nitida, che nessun altro potrebbe mai rappresentare il brand con la stessa autenticità. È una sensazione antica, quasi viscerale. E quando si parla di eventi aziendali, come abbiamo anticipato, l’idea di tenere tutto “in famiglia” non appare più solo legittima. Diventa desiderabile. A tratti necessaria. La gestione interna di un evento può infatti offrire un controllo assoluto sulla narrazione. Ogni parola, ogni elemento visivo, ogni dinamica tra i partecipanti può essere pensata, calibrata, adattata con precisione chirurgica. Il team che se ne occupa conosce alla perfezione i valori dell’azienda, ne respira il tono, ne intuisce i non detti. Non c’è bisogno di spiegare cosa si vuole trasmettere. Lo si sa. Lo si vive ogni giorno. E questo, in alcuni casi, è un vantaggio impagabile.
C’è anche un tema di coerenza, per il fatto che affidare l’organizzazione a chi fa parte dell’azienda può garantire una linea comunicativa più fluida, meno soggetta a fraintendimenti, più fedele alla cultura d’impresa. E poi c’è l’aspetto motivazionale, da non sottovalutare. Coinvolgere i collaboratori nella preparazione di un evento può diventare un formidabile strumento di engagement. Un’opportunità per far emergere talenti nascosti, per sviluppare nuove competenze, per creare legami trasversali tra reparti che altrimenti non si parlerebbero mai. In un certo senso, ogni evento interno è anche un evento “per” l’azienda, oltre che “dell’azienda”.
Tuttavia, come spesso accade, ogni luce porta con sé un’ombra. E la gestione interna, per quanto affascinante sulla carta, può trasformarsi rapidamente in un percorso accidentato. Il primo ostacolo, manco a dirlo, è (lo abbiamo già detto) la competenza. Organizzare un evento richiede una conoscenza specifica di aspetti tecnici, contrattuali, logistici. Non basta avere gusto estetico o entusiasmo, occorre sapere come si costruisce un piano di sicurezza, come si legge una SIAE, come si gestisce un noleggio di attrezzature. Non meno rilevante è il tema delle aspettative, perché quando tutto è gestito internamente, il margine di errore si restringe e se qualcosa va storto, l’errore ricade sul team, sul brand, sull’immagine complessiva. E può generare tensioni interne, rimproveri incrociati, fratture difficili da ricomporre. La responsabilità, insomma, si fa più pesante. Più personale. E questo, in alcuni contesti aziendali, può generare più ansia che efficienza.
A volte, nell’ansia di fare tutto “a modo nostro”, si finisce per chiudersi in una bolla autoreferenziale e si progettano eventi perfetti sulla carta, ma scollegati dal pubblico reale. O peggio ancora, dal mercato. Perché la verità è che non basta conoscere sé stessi per parlare al mondo. Bisogna anche conoscerlo, il mondo. E quando il team interno è troppo immerso nella propria realtà, il rischio è quello di parlare solo a sé stessi. O, peggio ancora, di annoiare.
La gestione interna, se non è accompagnata da un reale supporto organizzativo, rischia di diventare una missione impossibile, serve budget, quello s’, ma servono anche strumenti, autorizzazioni rapide, canali di comunicazione chiari. E tutto questo, in molte aziende, semplicemente non c’è. O non è strutturato in modo da sostenere un progetto complesso come un evento. Cosa ne consegue? Che talvolta si parte con l’entusiasmo di chi vuole fare tutto da sé e si finisce per rincorrere il tempo, scontrarsi con ostacoli imprevisti e dover chiamare un’agenzia in corsa, quando ormai è tardi per cambiare rotta.
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Non sempre è questione di bianco o nero, dentro o fuori, outsourcing o gestione interna. Esistono soluzioni ibride, modelli collaborativi, formule elastiche che consentono di mantenere salde le redini della propria identità, senza rinunciare al supporto di chi ha fatto dell’event management una professione. Ma per arrivarci serve onestà. Nei confronti di sé stessi, prima ancora che del pubblico.
Due strade possibili, una sola direzione da scegliere con consapevolezza
Scegliere tra outsourcing e gestione interna nella pianificazione di un evento non è mai allora una decisione meccanica. C’è chi parla meglio attraverso il coinvolgimento diretto dei propri team, e chi invece esprime il massimo potenziale affidandosi all’expertise di partner esterni. Nessuna delle due opzioni è giusta in assoluto, se non in relazione al contesto, agli obiettivi e alla capacità di sostenere quella scelta fino in fondo. La verità è però che l’outsourcing, quando ben gestito e realizzato con un partner competente, alleggerisce il carico operativo e introduce stimoli esterni che possono trasformarsi in innovazione concreta. Forse, il modo più saggio di orientarsi è porsi una domanda semplice: “Quale risultato stiamo cercando davvero?”
Se la risposta è un evento impeccabile, emozionante, capace di lasciare un segno, allora ciò che conta non è tanto chi lo organizza, quanto il modo in cui si lavora insieme. Esterni e interni, talenti e visioni, esperienza e innovazione. Il miglior evento possibile nasce sempre da una collaborazione. Anche quando questa collaborazione si consuma interamente tra le mura della stessa azienda.